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Relazione dell' incontro con Margaret Mazzantini

La Mazzantini: "Sono scrittrice della vita"

Ilaria Moretti

Dice di essere una scrittrice della vita e che non si può raccontare la bellezza del mondo senza descriverne l’alto lato, quello buio della violenza. Parla del suo essere una donna «normale», che tutte le sere cucina per la famiglia, perché sono i figli che ti tengono con i piedi per terra. E poi ritorna sul quel rapporto speciale con il marito Sergio Castellitto, l’uomo che anni fa le regalò il quaderno su cui impresse i suoi primi pensieri da scrittrice e con cui afferma di «condividere la stessa visione del mondo».

Quello stesso uomo che ora ha tradotto in un film «Venuto al mondo», il libro pubblicato nel 2008 che lei scrisse in una sorta di «stato febbrile», premio Campiello e una marea di copie vendute: una storia epica sulla maternità e l’amore ai tempi della guerra a Sarajevo. Lei, Margaret Mazzantini, ieri pomeriggio era a Parma e sul film non ha dubbi: «Si sente la forza vitale del libro». Ospite a Palazzo del Governatore, ha ricevuto il premio «Donna speciale 2012», nell’ambito della rassegna «Da donna a donna», organizzata dalla sezione parmigiana dell’Associazione Mogli Medici Italiani, con il patrocinio e la collaborazione dell’assessorato alla Cultura del Comune e della Pinacoteca Stuard. Accanto a lei la presidente del sodalizio, Adele Quintavalla, e l’ideatrice della manifestazione, Mariangela Rinaldi e, per qualche minuto, anche il marito regista e attore. Che, col sorriso, le riserva un complimento di «kennediana memoria»: «Salve, sono Sergio Castellitto, o meglio sono il marito di Margaret Mazzantini. Siamo venuti qua per un giorno e con una sola valigia, ma con tutti i doni che ci state facendo, credo che dovremo comprarne un’altra».

Applausi in sala e poi il palcoscenico sarà tutto suo, di Margaret.  «Venuto al mondo – lo introduce Mariangela Rinaldi - non è un romanzo, ma una composizione epica. E’ un’Odissea, una Divina Commedia: c’è guerra e pace, amore e ancora amore».
«Perché nei miei libri descrivo anche la violenza? - spiega la Mazzantini - Perché è nel mondo. Se racconti la bellezza, non puoi tralasciare l’altra faccia delle cose. Venuto al mondo è il viaggio psicanalitico di una maternità sgangherata, un lungo viaggio nel canale del parto per raccontare l’orrore della guerra ma anche un nuovo inizio, perché il mondo va comunque avanti. Alla fine c’è la speranza».

Non si stanca di ripeterlo la Mazzantini: «Scrivere è una gioia violenta». E la letteratura ha un grande dovere-potere: «Quello - sottolinea - di tirare fuori i dolori murati dentro di noi, perché siamo sempre meno sensibili». Come nasce l’idea del film? «Ovviamente in famiglia - risponde -. Sergio è il mio primo lettore. La trasposizione cinematografica spesso è vista come una riduzione, ma in questo film c’è la forza vitale del libro. C’è la voglia di sporcarsi con una storia grande. Io e Sergio siamo persone completamente diverse, ma abbiamo la stessa visione del mondo: ci commuoviamo, ridiamo e ci indigniamo per le identiche cose».

La scrittrice racconta e si racconta. Dall’inizio. Da quel suo essere cresciuta in una località di campagna: «In quel tempo della noia si è scatenata la fantasia. Ma la mia non è stata una vocazione facile». Un padre scrittore, la casa zeppa di libri che sembravano bare, l’iniziale rifiuto di un talento che poi sarebbe esploso: «Pensavo che la scrittura allontanasse dalla vita. Io, invece, sono stata una scrittrice della vita, l’ho monitorata».

Le prime pagine le ha scritte proprio su un quaderno regalatole dal marito: «E’ stato come se una diga si rompesse». Ma la Mazzantini è anche una madre, una che cucina tutte le sere per la sua numerosa famiglia: «Faccio un mestiere stravagante - ammette - e i miei figli (quattro, ndr) sono quelli che mi riportano a terra. A loro non gliene frega niente di chi sei o cosa fai: vogliono - sorride - il sugo buono».

 Laura Ugolotti

Il libro è un «best seller» e il film sta riempiendo le sale cinematografiche.
Con «Venuto al mondo», la coppia Margaret Mazzantini-Sergio Castellitto si conferma una delle più apprezzate del cinema e della letteratura. Scrittrice lei, regista e attore lui, i due - sposati dal 1987 - sono una coppia affiatata non solo sul set ma anche nella vita.
Anche per questo Luca Sommi li ha voluti come ospiti per la decima puntata di «Quarantotto», in onda su Tv Parma questa sera alle 21.
Al fianco di Sommi ci sarà Mara Pedrabissi, giornalista della redazione spettacoli della «Gazzetta di Parma».
«Lo spunto per la consueta chiacchierata del martedì è l’uscita del film “Venuto al mondo”, diretto da Sergio Castellitto che, come era già accaduto per “Non ti muovere”, è tratto dal romanzo della moglie e ha come protagonista Penelope Cruz. Due storie in una: la vicenda di una donna che non può avere figli e la guerra nei Balcani. Il dramma personale e quello universale - osserva Sommi - si intrecciano e ci costringono a riflettere su temi profondi e delicati, il cui centro è sempre l’uomo».
Come spesso accade con gli ospiti di «Quarantotto», la cronaca e l’attualità sono solo il pretesto per affrontare argomenti ben più vasti.
«Abbiamo parlato - spiega Sommi - del lavoro che porta al passaggio da un libro al film, di cosa significhi essere una coppia nel lavoro e nella vita, se il loro essere sposati sia un ostacolo oppure un vantaggio. Castellitto e la Mazzantini sono stati capaci di ottenere sia il successo del pubblico che quello della critica, eppure sono riservati, degli anti-divi, non fanno vita mondana e preferiscono stare in famiglia».
In puntata si è discusso anche dell’opera letteraria della Mazzantini che, per Mara Pedrabissi, è una letteratura di genere, e in particolare di genere femminile.
«Per la scrittrice - anticipa Luca Sommi - è invece il tentativo di offrire un punto di vista maschile su temi che sembrano femminili, come la maternità, l’infertilità, e invece sono universali e riguardano anche gli uomini».
«Un ringraziamento particolare - aggiunge Sommi - va all’”Associazione Mogli  Medici Italiani”, perché assegnando a Margaret Mazzantini il premio “Donna speciale  2012” ci ha permesso di averli a Parma e di intervistarli, e ai marchesi Dalla Rosa Prati, che con la loro ospitalità hanno contribuito alla realizzazione di questa puntata di “Quarantotto”».

 Margaret Mazzantini: "Scrivere romanzi è come andare in miniera"

Margaret Mazzantini, finalista del premio Campiello, racconta sulla pagina culturale della Gazzetta come per lei "scrivere è come andare in miniera, scendere sempre più a fondo come un rabdomante che cerca l’acqua prima in superficie, poi scavando". Sette anni dopo il fortunato «Non ti muovere» consacrato dal Premio Strega e da un film interpretato e diretto dal marito Sergio Castellitto che ha bissato il successo del libro, la scrittrice Margaret Mazzantini, intervistata da Francesco Mannoni, è tornata in libreria con un nuovo romanzo d’amore intenso e struggente con il quale è nella cinquina dei finalisti alla XLVII edizione del Premio Campiello.

Il romanzo intitolato «Venuto al mondo» (Mondadori, pagine 531, € 20,00) associa la passione della protagonista Gemma per Diego, un fotografo incontrato a Serajevo dentro il turbine di una guerra piena di orrori, alla sua voglia di maternità. Attraverso le sue peregrinazioni tra l’Italia e l’ex Jugoslavia Gemma rivive un amore senza scampo «appassionato e selvaggio».

Le anime perdute della Mazzantini

di Isabella Spagnoli

Margaret Mazzantini torna «in guerra». Non siamo più ai tempi di: «Venuto al mondo», libro partorito all’ombra di una delle pagine di Storia più sanguinose di fine secolo. Il conflitto bosniaco protagonista di quel romanzo (vincitore del Campiello 2009) è ormai lontano.
Ora l’autrice nata a Dublino da padre italiano e madre irlandese (fra gli altri ha scritto: «Il catino di zinco», «Non ti muovere», «Zorro») si dedica ad una lotta diversa, forse più spietata ed atroce: quella del quotidiano, combattuta da uomini e donne che si perdono durante il cammino e da figli orfani di genitori vivi; guerra di abitudini trucidate, di corpi improvvisamente estranei che non si riconoscono più. «Nessuno si salva da solo» (Ed. Mondadori), titolo emblematico che la scrittrice ha dato al suo ultimo romanzo, narra, come nella peggiore delle favole noir, la lotta dei sentimenti, il duello del privato, la negazione della domesticità e del sapersi addomesticare.
La distruzione, questa volta, non tocca palazzi, chiese e città, ma annienta esseri umani, giovani e vecchi, che si trasformano in cadaveri, morti sparsi in battaglia.
Nei libri della Mazzantini, il lettore, impara l’arte del saper morire in piedi e si immedesima nei protagonisti, gusci esacerbati dal seme che galleggiano in una vita crepata nel mezzo.
Da quella spaccatura si infiltrano l’asprezza e la disillusione, il rimorso e il rimpianto. La crisi di una coppia di due «ragazzi», fra i trenta e i quaranta anni, prende forma dalle primissime righe del romanzo.
Delia e Gaetano si trovano al tavolino traballante di un ristorante «apparecchiato» all’aperto, poco dopo la loro separazione, per discutere di assegni famigliari, affidamento dei figli durante le vacanze, di particolari che nulla sono rispetto al loro vissuto, ai loro ricordi ancora caldi e arrabbiati, a possibilità andate a ramengo.
Gaetano è un mediocre sceneggiatore cinematografico, un «Frankenstein qualunque, uno sfigato fatto di pezzi di cadaveri cuciti che non andavano d’accordo tra loro», al quale la normalità fa un po' schifo, afasico e fragile nel profondo del suo corpo flessuoso, l’aria innocente sempre nauseata.
Lei è una ex anoressica, una nutrizionista non realizzata, una donna tenace «troppo fragile per vivere e troppo potente per morire», il viso da squaw, incorniciato da due trecce lunghe, i denti corrosi dall’inappetenza. Gae voleva essere un’artista. Delia sognava per i suoi figli un mondo più pulito, migliore.
«Litigavano come i bambini che hanno paura di perdersi. Faticavano a mettersi in sintonia, erano così pieni di energia che finivano per darsi la scossa».
Ai bisticci ingenui e alla passione turbolenta di due anime inquiete subentra l’assuefazione ad una vita che non è a loro misura.
Appartamenti troppo piccoli e squallidi, moquette marcescenti, cibi preconfezionati e scotti, pannolini di bambini, dimenticati a terra, cornetti Algida squagliati al sole, diventano manifesti di quell'amarezza che può uccidere.
Delia e Gaetano vengono soffocati dalla confusione del mondo che li circonda, fatto di ritmi troppo frenetici, soffocato dai gas di scarico delle auto, dal tutto «già stato provato», popolato da gente come loro, generazione segnata dall’egoismo. Gae sapeva di meritare qualcosa di più, Delia sapeva di non doversi accontentare.
Un tradimento all’improvviso dell’uomo diventa il palesarsi di un disamore ormai dichiarato. La goccia che fa traboccare il vaso ma che ha radici lontane. L’allontanamento. E poi una sera in quel ristorante, davanti a loro, una coppia di anziani innamorati come ragazzi, persone che fanno quasi invidia, capaci di sopportare il dolore e la malattia insieme, senza pensare un attimo di lasciarsi.
L’uomo sta per morire, ma è felice di trascorrere gli ultimi giorni che gli rimangono con quella che è stata l’amore di tutta una vita. «Nessuno si salva da solo» sussurrerà, il vecchio, a Delia e a Gaetano che si salutano, dimessi ed incerti, dopo essersi lasciati un ultimo testamento: «-Dillo. -Cosa? - Dì che non mi ami più. Dillo adesso che siamo in pace...così me lo faccio scendere. Gli sorride con quei denti che si sono ingoiati il paradiso. -Non ti amo più Gaetano. Annuisce e ride con lei...poi gli occhi si fermano e si gonfiano di tutto, come quelli dei bambini. - Dillo anche tu. -Io non lo posso dire. -Dillo. -Non ti amo più Delia. -Lo vedi...lo possiamo dire.». «Nessuno si salva da solo» è la frase che riecheggia in testa ai protagonisti, desolati eroi, che dopo aver toccato il nucleo ustionante dei ricordi zoppicano verso un futuro fatto di cenere. Linguaggio amaro, dialoghi serrati e considerazioni scomode fanno di quest’ultima opera della Mazzantini un’autobiografia sentimentale di un’intera generazione. E se è vero che nessuno si salva da solo, ci viene comodo pensare ad una frase del libro «Accabadora» di Michela Murgia: «Non c'è nessun vivo che arrivi al suo giorno senza aver avuto padri e madri a ogni angolo di strada»... C'è solo da sperare di incontrarli.

Aggiunto alle 05:02 PM



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